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NOTE

E DOCUMENTI.

sare Comm. Lib. IV. cart. 23.

atteschi, Serie dei Duchi di Spoleto. Camerino 1801. Paolo Diacono. Stor. de Long. Lib. XI. Capit. ultimo L'Iscrizione riprodotta da Colucci è stata ben' esaminata, ammette eccezione. Ella è corroborata da un diploma di Carlo Magno del 877, in cui nomina Ambos Spoletanos DucaE dalle parole d'Anastasio bibliotecario, il quale parlando da calata de Franchi in Italia nomina espressamente il Ducato` Formano.

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Agèncourt. Storia della decadenza delle art. Ediz. di Prato pag. 161.

(6) Frisi. Dissertazioni sulla Chiesa di Monza 1774. Gori. Tesaur. Vet. Dypticorum.

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Pacciaudi. de Cultu S. Joan. Bapt. pag. 265.

Buonarotti. Museo ec. fol. 237 di questo dittico Aramse, che conservava il Senatore Filippo Buonarotti nel suo muda egli un' accurata descrizione, e il disegno ancora nella di pera su i tre dittici d'avorio; la quale fu poi ripetuta da Setano Donati ne' Dittici antichi sacri, e profani Lucca 1753 g. 107, ove riporta l'epigrafe seguente scritta in latino bar

pag.

CONFESSORISDNISCISGREGORIVSSILVESTROFLA
MANICENOBIORAMBONA AGELTRU DACONSTRUXI
QUODEGOODELRICVSINFIMVSDNISERBVSEABBAS

SCULPIREMINISITINDOMINOAMEN.

Venne questa epigrafe interpretata dal Buonarotti medesi

no in al guisa.

tro, e Flaviano donato al Monastero di Rambona, il quale A onore de Confessori del Signore, i santi Gregorio, rude edificai; qual dittico io Oderico infimo servo del Sure, e Abate ordinai che fosse scolpito nel Signore Ciampini. Vet. Monum. P. 1. pag. 71. 9 Spedizione Scientifica della Morea an. 1833. — Le isole di

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Amen.

Paros, o di Antiparos presentano entrambi i medesimi caratteri

mestici, nè sono divise, che da uno stretto canale sparso scogli. Le rocce ivi dominanti sono gli schisti, micacei, e soprato le calcari granulose, fra le quali trovansi i bei marmi sta

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tuarj, che resero celebre Paros negli antichi tempi. Questa calcaria di Paros è granosa, e spesso di lucente bianchezza. Tutte le fabbriche dell' Isola, siano abitazioni, sien muri di cinta, sono di questo bel marmo. Ma le varietà di esso ch' ebbero onore per il loro uso nella scultura, sembrano limitate ad alcuni banchi, che furono particolarmente scavati sul monte Kapresso, l'antico Marson poste circa tre miglia lontano dalla Città di pesso. Le cave Perakia; sono tuttavia ingombre di rottami, parte provenienti dall'interno delle cave stesse, parte dal digr ssamento dei massi, che spesso s'operava sul luogo. Il marmo si traeva da gallerie sotterranee, le quali oggi servono d'asilo alle mandre. Le cave del monte Marpesso sono abbandonate da gran tempo, nè più si usano per le costruzioni ordinarie, che i marmi di Kephalo. Il marmo di Paro era divenuto tanto celebre anticamente, che i più valenti scultori non volevano usarne d'altra specie: è di granitura grossa, spesso soggetto a scagliarsi; ma di gran purezza, alquanto trasparente, di un bianco di perla, talora traente al giallo, ed alcun poco somigliante al color di carne. Le sue belle tinte, e la somma pulitura, di cui è suscettibile, lo facevano preferire, in onta al difetto di facilmente sgranellarsi.

(10) M. SICCINI M. FIL.

D. M.

VEL OLYMPIAN. | VIXIT AN. XVII. | MENS VIII. |
DIEBUS III. NUMISIA TER. | TULLINA. FILIO. |
PIENTISSIMO.]

(11) Cod. Tit. de Paganis. Lib. XVI.

Gottof. Comment. ad An. VIII.

(12) Raffaelli delle Antichità Cristiane di Cingoli 1762 Lib. ll.

Pesaro

(13) Lilli. Stor. di Camerino Lib. IV. Par. I. pag. 175.
(14) Annali Camald. Tom I. 290.

pag.

224.

Avicenna Stor. di Cingoli. pag (15) Cordero di S. Quintino Cav. Co. Giulio. Ragionamento sull' architettura italiana, durante la dominazione Longobarda Brescia 1829. pag. 113.

(16) Santini. Stor. di Tolentino pag. 68, a cui è unito il dia segno inciso dal valente Locatelli, di cui compiangiamo la re cente perdita.

(17) Pannelli Mem. di S. Benvenuto pag. 85. e seg.

-

Cap. I. Par. 2

pag.

269.

Zaccaria excursus per Italiam (18) Compagnoni Mon. Pompeo. Memorie della Chiesa, e de Vescovi d' Osimo. Tom I. Lez. 143. pag. 69.

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SECOLO XI.

DELLE ARTI COLTIVATE NEL PICENO.

CAPITOLO II.

Sizi erano come già dicemmo nel loro maggior deperimenterminare dello scorso secolo, sola architettura fece qualde lemne progresso circa la metà del secolo XI. Questo si debbe istituzioni monastiche, che si trovavano estese fra noi; impeché i cenobj monacali formavano per se soli piccole intiere socela, dove tutto il sapere d'allora si trovava insieme riunito, dove arti necessarie al ben vivere degli uomini, ed al decoro della gone erano quasi in altrettanti ginnasj insegnate, ed esercitate meglio che altrove. Tutte le provincie cristiane erano loro a comune, i loro viaggi erano continui, e questi servivano tissimo per introdurre ovunque un gusto nelle loro fabbriche, de fosse più confacente alle comodità, alle ricchezze, e al decoro religione medesima. I Normanni avevano contribuito moltissimo to nuovo genere architettonico, che si era introdotto in Interra, e che anche in Italia si propagò.

La facilità del commercio coi Greci, dovette far sì che quei la nostra provincia si attenessero piuttosto allo stile architettonico bio, il quale per altro aveva anch'esso degenerato dalle ma

mitive usate specialmente in que' tempi, in che la Sede pale era in oriente. I Monaci, che popolavano la maggior parte di queste contrade eressero fabbriche in qu1 gusto, de più si conveniva al luogo della speciale loro dimora, ed esempio di quelle, che tengono alquanto di questa maniera lo abbiamo nel Monastero di S. Emiliano nella valle di Congiuntoli stato nella diocesi di Nocera a cinque miglia di distanza da Sasmilferralo. Ε questo luogo cinto da ogni parte dai monti, ed a riva del fabbricato scorre il fiumicello detto Perticano, che si congiunge

col Sentino. Ci è noto che se questo Monastero non fu realmente fondato, conobbe peraltro la sua prima riforma da S. Pier Da es miano, che lo resse. La Chiesa grande e magnifica è fabbricata & di pietre quadrate, ma non molto grandi. La qualità della pietra è arenaria, tratta forse da vicini monti, e così si trovano altre fabbriche de secoli a questo anteriore. Si sà, che dopo l'invasione de' barbari cessò affatto nella nostra Italia l'arte di fabbricare a mattoni, nè videsi più riprodotta che dopo il mille trecento circa. Mucchj informi di pezzi di tufo, di sclci, e di marmi vennero sostituiti sino all' Imperio di Carlo Magno, come di sopra si disse. Fu sotto questo Monarca, che l'architettura cangiò quella l rozza maniera, e se non ritornò alla perfettissima, che vigeva nel secolo di Augusto, ritenne almeno quella, che era in uso al declinare del romano Impero, cioè di costruire edifizj a pietre quadrate. Le prime forme di somigliante struttura sussistono ancora in quella porzione delle romane mura restaurate da Adriano 1. nella Chiesa dei Ss. Vincenzo, ed Anastasio; da Leone III. reidificate, ed una possiamo dire esser quella di S Emiliano, di cui ora trattiamo. Di questa non resta, che la metà della navata di mezzo e della nave a cornu evangelii. In luogo degli archi, e delle colonne, nell' altra parte che manca s' innalza un'antica parete dove vedonsi dipinte vecchie immagini di Monaci, opere. che rimontano al secolo XV., o XVI. Alle variazioni ch' ebbe quest' insigne edifizio in epoche a noi lontane, se ne aggiunsero di recente delle nuove, le quali specialmente nella parte interna ne hanno quasi fatto dimenticare qual egli fosse da prima. La voglia d'innovare non è meno nata in noi di quello lo fosse ne' tempi scorsi, e ciò fa tanto maggior maraviglia, in quanto mai si videro tanti scritti, quanti se ne propagano a tempi nostri, in cui molti utilmente si occupano ad illustrare cose antiche, e ciò solo fanno per l'effetto, che i monumenti dell'antichità si conservino, apprezzino, e si venerino; ma purtroppo le fatiche di questi uomini benemeriti non sono a paragonarsi con l'ignoranza dei più, e così da questo sbilancio ne viene un danno apertissimo all' età presente, prepariamo una peggiore opinione di ni nella ventura.

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Nella facciata di quèsta Chiesa leggiamo in caratteri romani piti in due diverse pietre quadrate l'anno in che quest'edificio p credersi avesse origine. Gli annalisti camaldolesi (1) ribattono Ipinione di Jacobello, che dice fabbricato questo Monastero nel 1145 costando chiaramente da S. Pier Damiano la maggior antidia di questo luogo, almeno di un secolo.

En quanti Cenobj monacali vanti la Marca, quello, che merita mente la nostra attenzione si è in Valle di Castro non Fabriano, dove sappiamo, che S. Romualdo aveva fondato e fors' anche un Monastero rozza figura, prima ina di 1 de partisse per l'Ungheria. Il Conte Ferolfo Signore di questo lags servendosi dell'opera di un Maestro Tebaldo architetto fu qlo, che fondò la fabbrica, che ancor oggi si vede, e la storia disa edificazione l'abbiamo da Fortunio (2) come ancora se ne adevano effigiati diversi fatti relativi, oltre varie gesta del Santo antico cenacolo de' Monaci; le quali pitture giudicate del Betalo XV. osservarono a mal'essere ridotte, e descrissero i Padri Mitarelli, e Custadoni, onde di esse se non ne abbiamo più le pronte, almeno ce ne rimanesse la memoria (3). Sarebbe stato augurarsi, che altrettanto avessero fatto per la Chiesa, ove parimenti molti dipinti, che di recente s'imbiancarono. Anche Chiesa sudetta, che forma una croce latina ebbe ad avere variazioni rese. Di questo stile, e forse opera del medesimo Tebaldo, possiamo de essere stata la Chiesa di Santa Maria, e di San Pietro nel territorio anese. Quella però di Sant'Elena, che rimane presso il fiume i, e che per testimonianza di San Pier Damiani porta l'epoca 19 incirca è una delle prime, che nella nostra provincia si

dalla semplicità del gotico antico, e ci presenta qualche o della seconda maniera nella tribuna. Essa rimane a tre navate costrutta di pietre quadre, con archi a tutto sesto con spaziosa Imbra, per la quale si ascende per varj gradini. Prima del mille semplice gradino divideva lo strato della Chiesa dal Presbiterio, Volendosi quindi alzare la tribuna, o per maggiore apparenza, o per dare agio maggiore di pratticare sotto le cripte, il numero dei kalini fu accresciuto sopra la decina. Il primo intendimento ebbe

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